In origine fu il “Parco Ciclistico del Chianti”, concetto del 1992 pubblicato la prima volta sul mensile senese “Mesesport” di febbraio 1993; la sintesi dell’idea era quella di proporre la mia zona, il mio Gaiole in Chianti ed il suo territorio (il Chianti, appunto) come ideale di per sé per andarci in bicicletta.
Era un modo di individuare una prospettiva di sviluppo che prescindesse dalla solita vendita/svendita di terre ed identità alla logica degli oneri di urbanizzazione, di una idea di sviluppo a tutti i costi che avrebbe trasformato ogni lembo di pianeta in brutta periferia, ogni campo in parcheggio, ogni orto in capannone, ogni incrocio in rotonda, ogni strada in asfalto e guardarail.
La prima cosa che andai ad organizzare, in funzione dell’idea Parco Ciclistico, fu una Gran Fondo. Iniziavano allora, un po’ ovunque, in un settore amatoriale che era stato storicamente legato solo alle corse dei 50 km, sempre più agonistiche, sempre più a rischio puntura per vincere coppa, prosciutto e/o cartone di vino. Le Gran Fondo introducevano il concetto dell’impresa, del gusto di misurarsi su lunghe distanze e grandi salite, con un numero di partecipanti molto elevato, che consentiva ad ognuno di trovare il giusto obiettivo al suo pedalare. I nomi più importanti, a partire da quello di un certo Fausto Coppi, erano già stati messi sottocontratto; la Toscana, regione ad alta amatorialità “corsaiola”, non aveva ancora una tradizione consistente nel settore ed io andai a contattare Gino Bartali, nome di infinito blasone.
Lo feci attraverso Andrea Bresci, perché ebbi occasione di leggere del fatto che egli si stesse occupando, per conto del grande Gino, di allestire un museo del ciclismo a suo nome. Gli proposi di iniziare questa esperienza partendo dalla domenica di Luglio più vicina al compleanno (il 18) di Bartali. Concordammo una modalità di riconoscimento dell’uso del nome, altre cose circa l’ospitalità di un suo gruppo di amici, soprattutto vecchie glorie. Messa su in fretta e furia, appunto il 21 luglio del 1995, andò benino; l’avevo definita un’Edizione Zero, anche perché le mie competenze nel settore erano davvero minime ed il mondo del granfondismo era ancora in divenire, tanto più in Toscana. 130 partenti, 4 soli arrivati nel percorso lungo, di oltre 200 km, falcidiati dalla sua durezza e da un caldo torrido. La bellezza delle strade e dei panorami, però, fu il primo obiettivo di promozione centrato: il Chianti cominciava così a diventare una zona di pregio per il ciclismo.
Straordinario, poi, fu il dopo corsa, con Bartali a cena al campo sportivo assieme a Stefania Sandrelli, madrina d’eccezione: stava girando un film in zona con Bernardo Bertolucci e l’accoppiata di due miti come lei e Gino battezzò nel modo migliore l’inizio della nostra avventura.
Nel ’96 si replicò con un raddoppio esatto dei partecipanti, appunto 260, e un podio d’elite: vinse Daniele Bertozzi davanti a Giuliano Anderlini. Erano i due mostri sacri nazionali del momento in quel mondo, a testimoniare che la corsa interessava.
L’anno dopo di nuovo si raddoppiò e ancora in modo matematico: 520 iscritti, buona parte d’Italia presente, comprese le riviste nazionali ed il circuito Master Tricolore. Stavamo arrivando nell’Olimpo. E due settimane dopo, iscrizione gratuita per chi aveva fatto la “Bartali”, nacque L’Eroica.
Ma per poterla concepire fu necessario aver incontrato Gino Bartali, campione e personaggio “hors categorie”.
La mia è sempre stata una passione per il ciclismo tutto, compreso quello letterario. Conoscere Gino Bartali in diretta fu un’immersione nelle emozioni: come essere appassionati di Storia di Roma e capitare, in viaggio nel tempo, a tranquilla chiacchiera con Giulio Cesare. Lo racconto così nel libro che decisi di avviare, in partenza solo come curiosa ricerca, rivisitazione, divenuto in seguito “Bartali il mito oscurato”, pubblicato nel 2000.
“Poi ho conosciuto meglio Bartali… L’ho ritrovato sempre ingenuo, spontaneo, diretto; però ho imparato di più a tradurne il borbottio, a capire che ciò che dice sia sempre la verità, o meglio, ciò che lui a suo tempo ha percepito come tale. Non mi è mai capitato, dico mai, nemmeno nelle cene più celebrative o nei conciliaboli più privati tipo i viaggi in macchina, di sentirlo sminuire Coppi, l’amico-rivale, sempre più amico nel ricordo, oppure di aumentare di un quid minimo i suoi personali meriti storico-sportivi…” Era per dire che, dalla conoscenza de visu di Bartali, trassi lo spunto per andare a rileggere ciò che avevo nei miei scaffali dei tanti libri di ciclismo, quasi tutti con Coppi protagonista; e, trattandosi di un periodo nel quale un po’ di tempo potevo dedicarglielo, fra i miei tanti mezzi mestieri, tutte le volte che avevo un momento iniziai ad andare in Biblioteca Comunale a Siena per ripercorrere i giornali dell’epoca e rivisitarmi il Duello Sportivo del Secolo come era stato descritto in tempo reale e non col taglio agiografico di decenni dopo.
L’Eroica è rinata lì, dopo il mio Barrino di bambino. Sfogliare “La Nazione” (e la Gazzetta o il Corriere) era come tornare alle emozioni di quando leggevo per i vecchi gaiolesi; in quegli annali di Biblioteca, Coppi e Bartali si prendevano le prime pagine, non di Gazzetta ma di Nazione e Corriere, giornali generalisti, per ogni loro vittoria, anche, chessò, al Giro di Romagna. Ogni tappa di Giro e Tour vi arrivava mentre degli altri sport ricordo le copertine solo per i mondiali dei massimi di pugilato, per la conclusione del campionato di calcio o per una medaglia d’oro italiana alle Olimpiadi. Coppi e Bartali ci finivano sempre, anche se avevano male al ginocchio o, come successe a Fausto e fu il primo, per le vicende coniugali.
Che tempi, che racconti, che avventura era la bici, che rischi e che fatiche comportava; e quali sofferenze, quante esaltazioni per un popolo che era entrato e uscito da una guerra tradendo due volte. “I Francesi che si incazzano” nel “Bartali” di Paolo Conte sono quelli che non digeriscono di come i macaronì dominino nei loro Tour dopoguerra, fino all’aggressione nei fatti dell’Aspin del Tour 1950, per cui la Nazionale Italiana decise di ritirarsi.
Ma Bartali e Coppi, con le loro vittorie plebee, restituirono dignità all’Italia: meriterebbero per questo di essere collocati tra i Padri della Repubblica. Di certo stanno tra i padri de L’Eroica. E ringrazio ancora l’incrocio astrale che mi consentì di incontrare Bartali ancora lui, in purissima essenza; l’aura che lo circondava, fortissima, fu quella che mi indusse ad un tuffo nella polvere di quel periodo mitico e a partorire L’Eroica, il ritorno alle radici del ciclismo, alla riscoperta delle bellezze della fatica e dell’impresa.
Gino, che eguagliò Coppi sulla strada, ne differì per tante cose; la fondamentale è che lui fu l’ultimo degli eroici, Coppi il primo di un’altra era. Ma per altri vent’anni sarebbe stata “Golden Age of Cyclism”, come oggi la definiscono gli anglosassoni, ultimi “eroici” acquisiti.
Giancarlo Brocci