Il mito del corridore veneto

Ed è al Tour del 1924, a uno di quelli di Bottecchia, che Albert Londres viene inviato da Le Petit Parisien. È un giornalista digiuno di ciclismo, è reduce da un viaggio-reportage nelle colonie penali francesi doltremare, Guayana e dintorni. I suoi racconti, il colore che raccoglie magistralmente, renderanno un ulteriore servizio al mito del corridore veneto, straordinariamente plebeo e iconografico.

Londres coglie, dopo poche tappe, «inquietanti paralleli tra la vita dei condannati ai lavori forzati e quella dei ciclisti». Gli attribuiscono, forse sbagliando, anche il conio dei forzati della strada, lascerà comunque perle che rendono vivido omaggio al ciclismo di quegli eroi. «Procedono tutti a testa bassa, come il bue che si appresta a ricevere lultimo colpo dal macellaio.»

«Questi 60 uomini crocifissi alle loro biciclette… abbassavano gli occhi e tiravano avanti, curvi sui loro manubri, come per capire se le gocce dacqua di cui disseminavano il percorso erano di sudore o erano lacrime.»

Il buon Albert, per esempio, sorprende il francese Barthélémy fermo lungo la strada: «Non sta aggiustando la bicicletta ma sé stesso. Ha solo un occhio vero, laltro è di vetro. Se lo toglie per asciugarlo». Lo sta portando da quattro mesi, non si è ancora abituato, la ferita gli dà problemi.

Di Bottecchia, tra laltro, scrive: «Ecco un selvaggio che, sul bordo della strada, divora del caucciù con ferocia. È la maglia gialla Bottecchia. Ha forato. Bottecchia strappa la gomma con i denti».

 Su quella immagine, fissata anche in foto memorabili, scriverà in seguito Claudio Gregori nel magnifico Il Corno di Orlando: «Non è unandouille succulenta. Non è una crêpe deliziosa e nemmeno un croissant o una baguette. La sua pelle ha scaglie di serpente ed è farcita di fango. Quella gomma depravata frequenta pessime compagnie. Si congiunge persino con sputi e cacche. Eppure Bottecchia la inserisce nel suo menù, anche se poi da luogo al deplorevole spettacolo della maglia gialla che sputa sui bordi della strada».

Il nostro Bruno Roghi, inviato al Tour a seguire le mirabolanti, ed assolutamente inattese allinizio, imprese di Bottecchia, descrive da par suo lAubisque, uno dei monumenti montani ormai entrati nella storia del Tour dal 1910: «Era feroce: il tratto terminale della scalata, da Gourette alla sommità, si presentava come una mulattiera da capre; la via da percorrere era ununghia sporgente dal fianco scosceso della montagna segata nel mezzo da un solco profondo nel quale neve fradicia, ciottoli e pietrisco formavano un impasto melmoso: chi ci andava a finire era perduto».

 

(Estratto dal libro Bartali, l’ultimo Eroico – Giancarlo Brocci)

 

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