L’anello di congiunzione chiamato Ottavio Bottecchia
Perché Bottecchia era un altro “nato per il Tour”, uno che senza quella corsa di estrema durezza, esercizio di resistenza da fachiri, non avrebbe lasciato traccia nella storia del pedale.
Il “Tavio” carrettiere veneto, ciclisticamente parlando e non solo, non era nessuno e aveva già 29 anni quando gli proposero di tentare l’avventura del Tour; di mestiere faceva il carrettiere, un gradino appena sopra quello familiare di muratore, si era distinto in guerra ma di corse ne aveva vinte pochine e nessuna importante. Al Giro d’Italia del ’23, il primo cui prendeva parte da isolato (“diseredato”, scrive qualcuno), Aldo Borella, per conto della francese Automoto era venuto per ingaggiare uno scalatore di prestigio come Brunero e magari qualche altro nome italiano noto da portare in Francia.
Ma la fama di corsa terrificante che il Tour riscuoteva in Italia non consentì proseliti: accettarono solo il piemontese Santhià, che aveva concluso 17° il Tour dell’anno prima, e questo veneto sconosciuto di cui si contavano (oltre alle costole) solo un ottavo posto alla Milano-Sanremo, sei magre vittorie da dilettante prima di quel successo nella categoria isolati al Giro.
Bottecchia, lo sappiamo, la storia l’ha scritta e tutta non è stata neanche decifrata con quella tragica, nebulosa, morte del 15 giugno del ’27.
Secondo a quel Tour del ’23, in cui parte da gregario dei fratelli Pélissier, Ottavio vince una tappa, porta la maglia gialla per altre 6 e cede il passo al capitano Henri incappando in una rammentata giornata “cattiva” sulle Alpi, ma gli finisce appena alle spalle, a mezz’ora; il terzo, Bellenger, si classifica con un ritardo oltre l’ora.
Nei Tour del ’24 e del ’25 Bottecchia fa doppietta, dominando e vincendo 4 tappe in ognuno; prima su Frantz e Buysse, che trionferanno a loro volta negli anni a seguire, poi sul solito belga Lucien Buysse, l’italiano Bartolomeo Aimo ed il lussemburghese Nicolas Frantz, relegati attorno all’ora di ritardo.
L’immagine di Bottecchia è forse la più emblematica di che cosa il Tour rappresenti; il veneto di Colle Umberto ha faccia eroica, con tutti gli spigoli e le magrezze forgiate dalla sofferenza. Più che uno sportivo è un uomo di fatica, di straordinaria, profonda, capacità di lavoro, di incrollabili volontà e coraggio. Quelle doti che il Tour chiede sopra tutte le altre.
Le foto di Bottecchia stanno là a confermare, meglio di qualsiasi sintesi scritta, che per il Tour bisogna essere altro che ciclisti, saper andare oltre.
(Estratto dal libro Bartali, l’ultimo Eroico – Giancarlo Brocci)