
La Mamma Giuseppina Prima della Guerra
Dice, ma racconti mamma, come alle elementari? Si, sempre più gente bisognerebbe si ricordasse da dove è venuta, quali contesti e obiettivi di vita, ora che tutto pare dovuto, magari guadagnato in qualche incrocio benevolo con la società della spinta.
La Mora Bambina
La Mora bambina tornò dai suoi ma non a Riecine. Nonno Nando, buono come il pane, aveva cazzottato un potino mandato dalla fattoria, secondo lui sfrondava troppo le sue (mezze) piante senza arte né passione. I Montagnani furono spoderati seduta stante, costretti a modesto trasloco di povere cose. Si salvarono per la benevolenza di un prete, forse Nando aveva un santo in purgatorio. Ma toccò loro il Poggione, piccolo e arcigno, uno scoglio sopra Barbischio con campi minuti tra muri a secco in gradoni impervi. Pane duro e tutto sudato, baccalà o aringa il venerdì (che allora costavano poco), un pezzo di lesso la domenica, le scorte del maiale finché duravano, tanto pane, companatico un’ idea, un trionfo di orto, di insalate di campo, di roba da bosco. Al Poggione erano retrocessi, neanche la buca per i bisogni, la mattina tutti in campo come il babbo di Benigni, a pulirsi secondo stagione, con le foglie o con un sasso. E ad un certo punto, in quel piccolo casale, si ritrovarono in 22, da 3 famiglie contigue. Come diceva ieri cugina Lella, la mattina era gara ad alzarsi prima se era avanzato qualcosa della cena. La Beppa il nonno cominciò a chiamarla Moro, un maschio ma solo per come lavorava ed andava in bici ai mercati per le minime spese necessarie.
Eppure sosteneva sempre che il suo periodo più felice fu quel 1939, già signorina, quando gli zii Ezio e Nello erano ormai adulti e forti e cominciavano a far girare i raccolti e bastare il mangiare. Poi arrivò la guerra. Risparmio il titolo (ripreso poi per i Brocci, nipote escluso) con cui mamma qualificò sempre Mussolini, che la lasciò al podere a fare la mula e senza uomini intorno. “Rimasero i vecchi e gli storpi, tu scoppiassi, ci davano solo noia”…