Sudafrica, straordinaria sintesi del pianeta del Duemila; “Cape Argus”, madre di tutte le gran fondo ciclistiche. Questa breve storia di un viaggio da sogno non può che cominciare dai titoli di testa, dai motivi portanti diun’escursione a Città del Capo che lascia profondo segno.
Domenica 12 marzo ore 7,40, col numero R 11310, mi sono allineato al via della più partecipata maratona
ciclistica planetaria. Con me altri 40 mila (circa) pedalatori oltre al R 11311, il buon Vincenzo Viganò, un milanese conosciuto lo scorso anno ad un’altra affascinante mattana: la Trondheim-Oslo, ovvero 540 km tutti d’un fiato.
Quando abbiamo avviato la bici, i primi erano già oltre la metà del tracciato, partiti all’alba delle 6; gli ultimi si sarebbero messi sui pedali alle 10 e un quarto.
La corsa? Un ininterrotto “tutti in gruppo”, un magma fluido che si diluiva senza strapparsi. Dopo qualche chilometro (109 i totali), mentre ci piombavano addosso quelli bravi del gruppo S, noi targati R rientravamo sui più scassati del Q e così via. Il percorso, questa volta (rarissimo caso) risparmiato da vento forte tipo Caianello, non è difficile in sé: diversi saliscendi su strade larghe e praticamente chiuse al traffico, una salita bella e possibile poco oltre metà corsa e un finale a ripercorrere in senso inverso i modesti dossi dell’avvio.
Gli scenari? Da cartolina ad ogni curva, tanto più nei lunghi tratti in cui si costeggiano Oceano Indiano prima ed Atlantico poi. E nel tratto interno che li congiunge un tuffo nella Wild Africa, fra scimmie e struzzi, alti fusti esotici e rocce millenarie, calati in diretta nel vivido mondo di Quark; incredibile, poi, l’effetto-nebbia che ti accompagna per i primi chilometri atlantici, per la spuma dello sciabordìo ondoso.
Ma la straordinarietà dell’evento, numeri e scenari a parte, sta nel modo assolutamente speciale con cui tutto un Paese vive l’evento, la partecipazione al quale pare assegnare ad ogni sudafricano (anche agli ospiti, perché no) una prestigiosa medaglia al valore sportivo e sociale. Ovvio che le decine di migliaia si facciano con molta improvvisazione, talora con incoscienza e coraggio di tanta parte del plotone: bici di tutte le fogge, taglie extraforti a iosa, allenamenti approssimativi di parecchi, granfondisti d’occasione. Ma tant’è: l’importante, per una volta, è esserci, dar vita e riceverne da una vera e propria festa nazionale.
E così la marea pedalante scorre fra un argine di folla, un pubblico acclamante da Tour de France o da vecchi Mondiali di fine agosto, con tanto di vino e salsicce su precari tavolini da prato. Impagabili, poi, i frequentissimi ristori; non per ciò che si trova sui tavoloni (bevande, banane, poco più) ma per la gioiosità, mettiamola così, delle ragazze pon pon e della musica che li annuncia.
Alla fine vince un “enfant du pays”, un dilettantone di Pretoria, che si sgancia, assieme ad un tedesco, negli ultimi strappi; viaggiano ai 42 di media e anticipano di una ventina di secondi un folto gruppetto. Il villaggio-arrivo, quasi inutile dirlo, è degno del resto, salvo che (escluse le solite bevande e i massaggi) bisogna pagarsi, a prezzi onesti, ciò che vi si trova.
Il ricavato, comunque, ha una destinazione nobile, ovvero il progetto di preservare una grande area naturalistica circostante.
Da aggiungere vi sarebbero le millanta impressioni, molte delle quali positive, che un’esperienza del genere trasmette. Per rimanere all’essenziale, citazione d’obbligo per il Tricycle Tour, manifestazione della vigilia per bambini Under 6 (!), una festa con 500 triciclisti, per l’Africa Cafè, un locale impagabile dove, con meno di 30000 lire, vino compreso, si assaggiano 17 ricette da tutto il continente e si allena lo stomaco ad ogni evenienza ed al chili più potente del mondo, per la signorilità coloniale di Waterfront, dei suoi negozi e ristoranti (pesce doc), per Camps Bay, spiaggia zeppa di belli/e con baretti per tipico spuntino ciclista, per certe fattorie (e cantine) dei dintorni, per la nostra Guest House, splendidamente familiare anche quanto a tariffa.
Menzione speciale, poi, per il Sindaco di Cape Town, un negrone con aria paciosa da vecchio zio Tom. E’ venuto, sorridente e discreto, a premiare i vincitori di una manifestazione quasi tutta bianca, bella, più olandese che inglese (i pochissimi “intrusi” di colore, generalmente, sono indiani), a rappresentare un popolo ancora ai margini di quel bel mondo, ancora assiepato nei quartieri di lamiera dell’immensa periferia. Ma “va un po’ meglio di ciò che, in genere, si pensa” – ci aveva detto Riccardo, un vigevanese barman a Camps Bay –. “Tra bianchi e neri…ci guardiamo. Intanto, però, i giovani crescono insieme”.
Certo, ora che le miniere sono alla frutta, che terra e torta sono state divise, che l’economia è saldamente in mano di pochi, soliti noti, belli e intraprendenti, c’è da sperare nel loro buon cuore nonchè nella montante sensibilità ambientalista.
In Sudafrica, paese altrimenti splendido, si stanno permettendo addirittura un Mandela presidente e uno “zio Tom” Sindaco dei boss-boeri. Vien da sperare che, oltre a ghepardi e rinoceronti, presto sarà resa dignità anche ai buoni diavoli del ghetto.
Come a dire (per gli ottimisti): Sudafrica, straordinaria sintesi del pianeta del Duemila.
Giancarlo Brocci